E Max incartò Mau

Roberto Beccantini13 November 2022

Sembrava, almeno all’inizio, una sfida tra due calvi che si contendono un pettine. Allegri, invece, aveva in tasca un parrucchino: Kean. Decisivo già giovedì, a Verona, su assist di Rabiot. E due volte, addirittura, allo Stadium: il gol dell’1-0, al crepuscolo del primo tempo, con un superbo lob su invito di Rabiot (ancora); la rete del 2-0, in avvio di ripresa, di tap-in, su cambio-campo di Locatelli e botta di Kostic deviata da Provedel. E così Juventus tre Lazio zero, perché poi Chiesa, entrato con Di Maria, ha spalancato la porta a Milik.

Scritto che il peggiore è stato colui che, di solito, è il migliore, Milinkovic-Savic, il migliore in assoluto non lo avrei mai tolto: alludo a Kean. Ma anche senza Moise, Madama ha continuato a controllare/dominare la trama. E allora, chapeau mister. Si trovavano di fronte i bunker più blindati, formazioni crivellate d’infortuni. La Juventus ha trovato in Kean una lama alternativa a Vlahovic. La Lazio non ha trovato un vice Immobile (se non le bollicine di Pedro). E’ mancata proprio in area, l’Aquila, là dove Bremer, Gatti (pur ammoniti) e Danilo hanno sigillato ogni pertugio. Max ha incartato Mau con il 3-5-2, lo schema dell’ultima (e provvidenziale) svolta. Sei vittorie di fila, terzo posto. E giovani come Fagioli (e Miretti) pronti al momento giusto. Fatta di necessità virtù: e di virtù necessità.

I ritmi lenti hanno garantito quelle soste e quelle fiammate che magari, su altri schermi, sono il pane quotidiano. E’ stata una Juventus globalmente vicina alla ripresa con l’Inter. Una squadra fisica e abbastanza tecnica. Attorno a Danilo sono cresciuti (molto) in molti: Kostic, Rabiot, Locatelli, Bremer. Kean a parte.

Era l’ultima del 2022. Si riprenderà il 4 gennaio, con Inter-Napoli. Dal quale la Juventus resta a dieci punti. Ma non è più la cenere di Monza e di Haifa.

Fate un po’ voi

Roberto Beccantini12 November 2022

In carrozza, negli ottavi di Champions, da primo del girone. Tiranno del campionato, con 11 punti sulle seconde che domani, nella peggiore delle ipotesi, torneranno 8. Uno in più della Juventus di Conte che, nel 2014, stabilì il record assoluto con 102. Undici successi di fila, l’ultimo per 3-2 all’Udinese. Il miglior attacco e la terza miglior difesa. Numeri, maestro: e musica, naturalmente.

Sto parlando del Napoli di Spalletti: quello che a Roma aveva «distrutto» Totti dopo averlo inventato «falso nueve»; quello che sbraca sempre nei ritorni; quello che, ogni tanto, si fa ombra e litiga con i soli. Siamo appena a metà novembre, e per salire sul suo carro la ressa è tale che i bagarini hanno già triplicato il prezzo dei biglietti. Paisà, that’s amore.

Immagino i rosari di scongiuri, di sfregamenti, di toccamenti, ma siamo di fronte a una squadra che gioca sempre, spesso bene, e ha spiazzato tutti: di sicuro, il sottoscritto. En passant, De Laurentiis non è più «’o pappone», ma pure questo era nei patti. Ci si aggrappa alle tende fragili del «prima o poi crollerà», slogan che per i grandi resta una medaglia d’oro; a un avversario che non vince da 7 gare e che, già sotto di un gol, aveva perso Deulofeu, il suo fiore all’occhiello; alla flessione e alle turbolenze dell’ultimo quarto d’ora, esacerbate dalle reti di Nestorovski e Samardzic. Restano i fatti: non ce n’è per nessuno.

Osimhen è la natura della forza del Napoli, oltre che una forza della natura, come testimoniano i 9 gol e tutto il resto. Ha siglato il primo, di testa, su parabola di Elmas, e avviato il secondo, in contropiede, poi rifinito da Lozano e firmato da Zielinski. Di ripartenza anche il terzo, da Anguissa ad Elmas. Contropiede: un’arma, non l’arsenale intero. Un’arma sempre di moda (citofonare Manchester City-Brentford 1-2). Può essere tatticamente «casto», fesso e noioso un tecnico nato dove nacque Boccaccio?

Noia, per favore, vai via…

Roberto Beccantini10 November 2022

Togliere il contropiede ad Allegri è come togliere Allegri ad Adani. Sbadigli. Per carità, il Verona aveva aggredito persino il Milan, salvo poi arrendersi – con onore – alle sue qualità. Con la Juventus è andato via di gamba e ci ha messo il cuore, il muscolo. E’ caduto sull’unica, decente azione degli avvesrari, Milik-Rabiot-Kean – all’ora di (non) gioco.

Per Bocchetti, ultimo, è la nona sconfitta di fila; per Madama, la quinta vittoria. Inoltre: la peggior difesa contro la migliore. Ecco un altro punto: date a Max il bunker più munito e si eccita, pronto a sacrificargli molto. L’Hellas ha giocato come poteva, con Djuric e quindi Henry a ramazzare campanili. La Juventus ha giocato malissimo. Il calendario compresso non fa sconti, il catenaccione della Cremonese ha bloccato il Milan sullo 0-0, l’Inter ha avuto bisogno di una prodezza di Dzeko per scacciare le paure, rimontare e asfaltare il Bologna. Il Napoli, che fa un campionato a sé, ha battuto l’Empoli di rigorino, di cambi e di bellezza (l’azione del raddoppio: Lozano-Zielinski, chapeau).

Il possesso palla di Allegri toccava picchi guardioleschi, ma Kostic e Rabiot rifiatavano, Locatelli e Fagioli non trovavano sentieri, figuriamoci autostrade, Cuadrado «parava» più di Perin, il che è tutto dire. Uno spericolato mani-comio di Danilo, sempre lui, non commuoveva il Var che poi, correttamente, cancellava un rigore di Bonucci (su Verdi): non c’era (a differenza dell’altro). Chiudeva in dieci, la Juventus, per un rosso ad Alex Sandro. Un rosso netto ma singolare: su contropiede di Lasagna, fra i più vivi, dopo che i cortomusisti non ne avevano accennato manco mezzo.

Il pari sarebbe stato più equo, come mi segnala un delicato lettore di fede juventina: ce ne sono, ce ne sono. Ma così è. Di Maria, a proposito, quel poco che ha giocato lo ha offerto all’Argentina. Che è sempre una bella cosa. Anche se non bellissima. Forse.